Sulla scia degli Stati Uniti, San Valentino è diventata una festa popolare laica che serve per incrementare i consumi e conseguentemente la produzione. In realtà il calendario liturgico vi festeggia, dopo la riforma del 1970, i Santi Cirillo e Metodio che, vissuti nel IX secolo, furono gli evangelizzatori della Russia. Un tempo la loro festa cadeva il 7 luglio, mentre il 14 febbraio era dedicato a san Valentino, oggi cancellato dal calendario universale perché poco significativo per la Chiesa. Ma la cancellazione non ha avuto alcun effetto, tant’è vero che gli almanacchi e i calendari continuano a registrarne il nome aggiungendo quelli dei due evangelizzatori degli Slavi. D’altronde, troppe erano le usanze e troppi soprattutto gli interessi commerciali connessi alla festa perché la decisione del Consiglio per la riforma liturgica avesse qualche effetto.
Su san Valentino, vescovo e patrono di Terni, poco si sa se non che venne decapitato a Roma nel 273, durante la persecuzione di Aureliano. Una tarda passio sostiene che fu sepolto in un cimitero nei pressi di Terni, sul quale sarebbe poi sorta una basilica, trasformata radicalmente nel 1618. Qualche anno prima, il 21 giugno 1605, il vescovo, Gianantonio Onorato, aveva ritrovato il corpo del santo patrono e lo aveva riposto in una cassa di piombo.
Quanto alla passio, anteriore all’VIII secolo e la cui attendibilità è più che dubbia, narra che il vescovo Valentino, celebre per le sue doti di taumaturgo, era stato invitato a Roma dal retore e filosofo Cratone perché ne guarisse il figlio, il cui dorso di era talmente incurvato da costringerlo a tenere il capo fra le ginocchia. Valentino promise la guarigione a patto che tutta la famiglia s’impegnasse a convertirsi. Così avvenne: si convertirono anche tre giovani ateniesi, allievi del filosofo, Proculo, Efebo e Apollonio. La notizia era troppo clamorosa per passare inosservata; sicché il prefetto Placido fece imprigionare Valentino cercando invano di spingerlo a sacrificare agli dei. A nulla valsero le esortazioni e neppure una bastonatura: fu condannato alla decapitazione. Quando i carnefici si furono allontanati, i tre giovani, raccolto il corpo, lo trasportarono a Terni seppellendolo in un cimitero del suburbio che avevano acquistato. Anch’essi vennero poi decapitati.
Alla stessa data è ricordato poi un altro san Valentino, commemorato anche da Beda e decapitato, secondo la leggendaria Passio maris et Marthae, nel III secolo per ordine dell’imperatore Claudio il Gotico sulla Via Flaminia, dove Papa Giulio I costruì una basilica. In realtà, questo secondo Valentino non è mai stato un santo, ma semplicemente il benefattore che finanziò la costruzione della basilica e perciò le diede, secondo la tradizione dell’epoca, il nome: nella biografia di Giulio I (337-52) del Catalogo liberiano è scritto infatti che facit [...] basilicam via Flaminia mil. II quae appellatur Valentini. Tra il V ed il VI secolo si cominciò erroneamente a venerarlo, com’è accaduto per molti altri benefattori che avevano fondato chiese a Roma, e talvolta a confonderlo con il vescovo di Terni.
Nel tempo le due figure si sono fuse fino a dare origine ad un solo Valentino, alla cui popolarità contribuì Jacopo da Varagine parlandone, nella Legenda aurea, come di un venerabile sacerdote che l’imperatore, incuriosito dalla sua fama, convocò a palazzo. “Perché non vuoi essere nostro amico” gli chiese “adorando gli dei e rinunciando alle tue superstizioni?” E Valentino: “Se tu conoscessi la grazia di Dio non diresti così: ma disprezzeresti i tuoi idoli e adoreresti il Signore che è nei cieli”. E continuò a parlare dimostrando che l’unica fede vera e santa era quella nel Cristo. Fu così eloquente e persuasivo che l’imperatore non poté fare a meno di esclamare: “Romani, quest’uomo parla con molta sapienza”.
Il prefetto, presente al colloquio con altri cortigiani, cominciò a preoccuparsi di una possibile conversione di claudio. Lo richiamò allora al suo dovere: “L’imperatore viene ingannato” esclamò. “Dovremo dunque abbandonare ciò che abbiamo considerato vero sin dall’infanzia?”. Quelle parole ricondussero l’imperatore al rispetto delle sue funzioni di pontefice massimo della religione romana. E tuttavia, non volendo perseguitare il santo sacerdote, si limitò ad affidarlo in custodia ad un nobile. Quando Valentino fu entrato nel palazzo di costui esclamò: “Signore Gesù Cristo, luce vera, illumina questa casa affinché i suoi abitanti ti riconoscano Dio”. “Sento che invochi Cristo come luce” gli rispose il nobile. “Ebbene, se egli illuminerà la figlia mia che è cieca, farò quello che vorrai”. Valentino si raccolse in preghiera e non passò un minuto che la fanciulla, oh miracolo!, recuperò la vista, e tutti, narra Jacopo da Varagine, abbracciarono la fede di Cristo. Allora l’imperatore ordinò che Valentino fosse decapitato: era all’incirca l’anno del Signore 280.
Successivamente le due figure sono state nuovamente distinte. Ma torniamo al vescovo di Terni, nella cui leggenda non appaiono innamorati. Com’è potuto allora nascere questo patronato? Ne furono responsabili indiretti i benedettini, che nel primo Medioevo custodivano la basilica. Essi diffusero il culto del santo nei loro monasteri fino alla Francia e all’Inghilterra, dove il suo patronato è sorto per una coincidenza calendariale. Infatti, nel tardo Medioevo, quando il 14 febbraio corrispondeva in realtà alla fine del mese a causa del calendario giuliano, in anticipo rispetto all’anno solare di circa undici giorni, nacquero alcuni proverbi ad annunciare l’ormai prossima primavera. La temperatura si intiepidiva, gli uccellini cominciavano a cantare sugli alberi e ad accoppiarsi: sicché nacque il proverbio Per San Valentin la lodola fa il nidin e Per San Valentino fiorisce lo spino. Agli amori degli uccellini si ispirò anche il proverbio A San Valentino ogni valentino sceglie la sua valentina e insieme con esso la festa dei fidanzati i quali in Inghilterra, fino al XV secolo, cominciarono a scambiarsi i bigliettini teneramente scherzosi.
Più tardi, per giustificare il patronato, si idearono delle leggendine zuccherose come quella che si racconta a Terni: c’era una volta una bella fanciulla di nome Serapia, che si era innamorata di un centurione pagano, Sabino. Quando i due giovani riuscirono a vincere finalmente le resistenze dei genitori, grazie anche al battesimo di Sabino, si scoprì che Serapia era tisica: dopo qualche mese non riusciva nemmeno più a levarsi dal letto. Fu chiamato al capezzale della moribonda il vescovo Valentino, al quale il fidanzato chiese di non essere separato dall’amata. Il desiderio fu esaudito: morì abbracciato a Serapia. Una leggenda recente, di origine americana, narra invece che Valentino, sentendo litigare due fidanzati che stavano passando oltre la siepe del suo giardino, uscì loro incontro e donò loro una miracolosa rosa rossa, che ebbe la virtù di riconciliarli. I due giovani vollero poi che fosse proprio Valentino a benedire la loro unione; quando la notizia si diffuse, molte altre coppie chiesero di essere benedette da lui; e così il vescovo, non potendo accontentarle tutte separatamente, stabilì che vi fosse un giorno, il 14 febbraio appunto, dedicato ad esaudire questa richiesta.
Una variante anglosassone narra che il vescovo aveva l’abitudine di offrire alle coppie di giovani che passavano davanti al suo giardino un fiore. Due di tali giovani si sposarono con la benedizione del vescovo. La notizia si diffuse e da quel momento tutte le coppie ternane e dei dintorni vollero la sua benedizione nuziale; sicché Valentino divenne il protettore degli innamorati.
Vi fu anche chi volle ricollegare la festa degli innamorati ai Lupercalia, che cadevano il 15 febbraio, sostenendo che nel 496 papa Gelasio, per estirpare questo rito che alcuni pagani continuavano a celebrare, fissò al giorno precedente la festa degli innamorati: e siccome proprio il 14 si festeggiava San Valentino, il vescovo ternano diventò il loro protettore. Ma è un’interpretazione che non si basa su alcun documento: si sa solo che il papa protestava per la sopravvivenza della cerimonia pagana. D’altronde i Lupercalia [...] avevano una valenza del tutto diversa.
Un’ultima ipotesi, completamente infondata, fa risalire il patronato sugli innamorati al 1465, quando Paolo II autorizzò il cardinale Giovanni di Torquemada a fondare l’arciconfraternita della Santissima Annunziata, che doveva procurare la dote per le fanciulle povere: sede della confraternita fu Santa Maria sopra Minerva. Era una coincidenza o il cardinale volle proprio fissarla al 14 febbraio avendo saputo della festa degli innamorati, ormai popolare nell’Europa del Nord? In ogni modo non fu certo quell’iniziativa ad ispirare il patronato sugli innamorati, tant’è vero che a Roma non si celebrava la ricorrenza.
La distribuzione delle doti, alle quali contribuirono poi altri prelati e pontefici, tra cui Urbano VII che lasciò alla confraternita tutto il suo patrimonio, diventò così una celebrazione festosa per le ragazze romane in età da marito, che assistevano, quel giorno, alla messa officiata dal papa e sfilavano in processione.
La festa di San Valentino è poi emigrata in Inghilterra e di là in America, da dove è tornata da noi trasformata in una laica ricorrenza, per la quale non ci si accontenta più, come un tempo, di scambiarsi bigliettini affettuosi o scherzosi, detti “valentini”, o un fiore, magari una di quelle margheritine che spuntano ai primi di febbraio nell’Italia centromeridionale, ma è quasi d’obbligo il regalo costoso; come accade, d’altronde, per le altre feste del consumo indotto, da quellla della Mamma, la prima domenica di maggio, a quella del Papà il 19 marzo, promosse da pubblicitari ed industrie per incrementare la produzione insieme con gli sprechi, l’avidità e l’insoddisfazione del volgo. E non ci stupiremmo se in futuro fiorissero la festa del fratellino, della zia, del cane, del gatto o del canarino.
"Calendario" di Alfredo Cattabiani
(grassetto mio)
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